Una serie di elementi, tra cui parziali ammissioni alla polizia, riprese delle telecamere e testimonianze raccolte dopo la scoperta del corpo di Giada Zanola, hanno portato all’arresto di Andrea Favero, il 38enne accusato di aver ucciso la sua compagna. Inizialmente trattato come suicidio, il caso ha preso una svolta significativa grazie a una “grave base indiziaria” che ha convinto gli inquirenti della colpevolezza di Favero.
Le telecamere lungo l’autostrada, insieme alle testimonianze di un rapporto conflittuale, hanno giocato un ruolo chiave nell’arresto del sospettato. Il sostituto procuratore Giorgio Falcone ha evidenziato che la telefonata alla vittima e i messaggi inviati dopo il delitto sembrano essere parte di una messa in scena.
Secondo la ricostruzione di Favero, durante un acceso litigio la compagna si sarebbe allontanata a piedi su un cavalcavia, seguita dall’uomo in auto. La lite sarebbe poi proseguita all’interno del veicolo. Tuttavia, le autorità ritengono che il messaggio inviato alla vittima successivamente al delitto fosse un tentativo di depistaggio.
Durante l’interrogatorio, Favero ha fornito una versione ritenuta poco credibile, cercando di simulare di aver appreso della morte della compagna solo successivamente. La Procura ipotizza che il movente possa essere legato al viscerale attaccamento al figlio e alla paura di perderlo.
Testimoni hanno riferito di continui litigi tra la coppia, anche per motivi economici, e di presunte minacce subite dalla vittima. La famiglia e gli amici di Zanola escludono l’ipotesi del suicidio, descrivendo la donna come serena e in una fase positiva della sua vita.
L’indagine è ancora in corso e l’autopsia potrà confermare eventuali presenze di sostanze tossiche nel corpo della vittima. La storia di Giada Zanola continua a suscitare emozioni e interrogativi sulla verità dietro la sua tragica morte.